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Il 7 Febbraio 2024, Il Governo Spagnolo presieduto da Pedro Sanchez ha approvato l’aumento del salario minimo (SMI) di un 5% a €1.134 in 14 rate, con effetto immediato e retroattivo al 1° gennaio 2024. Questo aumento è l’ultimo di una lunga serie che dal 2002 ad oggi ha portato il salario minimo in Spagna ad aumentare da €442 agli attuali €1.134. Infatti, durante gli ultimi 20 anni della storia spagnola, governi di destra e di sinistra, partendo da José Aznar (PP) e passando per José Zapatero (PSOE), hanno all’unanimità concordato sulla necessità di aumentare il salario minimo (SM).
Tuttavia, Sanchez è stato senza dubbio colui che ha apportato una spinta al rialzo più elevata, portando il SM dai €707 del 2019 ai €1.134 attuali, con il maggiore incremento approvato nel suo secondo anno di mandato per un corrispettivo del 29%; peraltro la Spagna è il Paese che, dopo Malta e Croazia, ha guidato la crescita del PIL Europeo del 2023 con un +2.3% (dati Commissione Europea).
Per il governo del PSOE in modo particolare, il SM è stato uno strumento essenziale per proteggere le parti meno abbienti della popolazione, in particolare negli ultimi anni a dispetto di un’inflazione “vischiosa” (dall’inglese “stickyinflation”) che ha lenito il potere di acquisto delle classi più basse.
Ma la Spagna non è l’unico caso. Lo scorso gennaio, molti paesi del Vecchio Continente hanno approvato aumenti al salario minimo legale:
– l’Olanda ha approvato un nuovo sistema di calcolo del SM, passando da una base mensile a una base oraria, che corrisponde a €13.27 per ora lavorativa (per gli over 21), che secondo alcune stime rappresenta un aumento dell’oltre il 3% rispetto all’anno precedente;
– La Germania ha rivisto il minimo legale da €12.0 a €12.4 e ha già approvato il prossimo aumento per il 2025 a €12.8 per ora lavorativa – oltre il 50% in più rispetto a quando il SM fu introdotto nel 2005;
– La Francia ha aumentato il SM legale di 1.13% a €1.767 lordi mensili (o €11.65 orari) – o un +45% dal livello del 2005;
– Il Portogallo ha rivisto il SM da €760 a €860 mensili, il più grande aumento di sempre.
È interessante notare come ognuno dei Paesi sopra menzionati preveda una revisione del minimo salariale su base semestrale, con potenziali (e probabili) aumenti in base alle condizioni di mercato correnti, in primis all’andamento dell’inflazione. Tutto ciò avviene in un contesto Europeo in cui gli unici altri paesi a non avere un salario minimo legale sono Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia, non esattamente i paesi con maggiori discrepanze sociali.
Se guardiamo i dati dell’OECD, nel 2022 l’Italia risulta essere uno dei Paesi in cui le famiglie hanno una percentuale di risparmio minore sul totale del salario fra i Paesi europei. Questa classifica è confermata anche considerando le medie dei vari Paesi negli ultimi 10 anni e destinata a rimanere cronicamente bassa sotto il 2% secondo le stime dello stesso OECD. Considerando le transazioni finanziarie nette, altro indicatore fondamentale per valutare la ricchezza delle famiglie e che calcola la differenza fra l’acquisizione netta di attività finanziarie e l’incremento netto di passività per famiglia, rimaniamo fra i fanalini di coda dell’Europa, con un aggregato risparmi/transazioni di poco superiore al 4% nel 2022.
Nell’agosto del 2023, la Presidente Meloni esprimeva le sue perplessità sul salario minimo, etichettandolo come “controproducente”, in quanto avrebbe portato a un abbassamento dello stipendio di alcuni lavoratori a fronte dell’aumento di altri. Ma è davvero così?
Lo stesso OECD ha prodotti degli studi dettagliati sull’aumento nel SM approvato da Sanchez in Spagna nel 2019 del 22%, in quanto uno dei più ampi aumenti singoli nella storia dei salari minimi europei, che ha riguardato il 7% della popolazione Spagnola. La conclusione principale fornita da questo studio è che l’aumento del salario minimo del 2019 ha avuto un grande effetto positivo sui salari, ma solo un effetto negativo molto limitato sull’occupazione. Un risultato sorprendente se si considerano le grandi critiche mosse a Sanchez al tempo per una potenziale ondata di licenziamenti favorita dalla manovra stessa. Inoltre: “gli effetti negativi sull’occupazione sono più forti per i lavoratori con contratti a tempo determinato rispetto a quelli con contratti a tempo indeterminato. Ciò suggerisce che il salario minimo riduce la segmentazione del mercato del lavoro aumentando la relativa attrattività dei contratti a tempo indeterminato per i datori di lavoro”. Una conclusione che cozza in maniera significativa con la tesi della Presidente Meloni e che anzi suggerisce un’altra cosa: l’intervento pubblico nella regolazione di un mercato del lavoro che si autodetermina è tanto necessaria quanto utile ad eliminare le dinamiche distorsive di cui parla la Presidente.
È evidente, dunque, che il metodo di contrattazione collettiva è diventato per l’Italia inefficiente. Keynes, che ha influenzato tutto il pensiero economico dal XX secolo ad oggi, affermava che la lotta collettiva per i salari influisce principalmente sulla distribuzione del salario collettivo fra i diversi gruppi di lavoratori e non sul suo ammontare medio per unità; dunque,essa mai condurrà a un aumento reale dei salari, i quali dipendono da molte componenti macroeconomiche. D’altronde sarebbe difficile immaginarsi scioperi indotti dai sindacati ogni qualvolta vi siano dei comunicati sull’aumento dell’inflazione.
Bisogna, infatti, spingersi oltre: il SM non deve essere proposto come una costante statica, bensì tenere in conto le dinamiche macroeconomiche correnti. Se vogliamo renderlo credibile e favorire dinamiche al rialzo degli investimenti privati dobbiamo creare nei privati stessi le giuste aspettative future. Ecco, dunque, che sarebbe giusto proporre in Italia un SM con revisione obbligatoria a cadenza semestrale o, in maniera più semplice, indicizzato all’inflazione. Se la popolazione ha infatti aspettative salariali in crescita, la propensione all’investimento tenderà a crescere rispetto alla propensione al risparmio; questa dinamica sarà sicuramente più benefica per la crescita del sistema Italia rispetto a quella di un sistema volto al risparmio che risulterà essere più stagnante.